Daniele cernilli: l’iceberg oltre la punta

Per chi non lo conoscesse, Daniele Cernilli è il direttore responsabile di DoctorWine, “non un blog, ma una vera rivista online che parla di vino e dintorni da cui eredita il soprannome”.
E nessun soprannome fu più azzeccato, visto che dal 2007 al 2009 è stato incluso nella classifica internazionale di Decanter tra le 50 personalità più influenti nel mondo del vino.
Per aggiungere ancora un dettaglio, è proprio quel Daniele Cernilli che nel 1986 ha fondato Gambero Rosso: a lui si deve l’invenzione dei “tre bicchieri” come metro di classificazione dei vini.

“Quando abbiamo strutturato Gambero Rosso, ho riflettuto sul fatto che da una bottiglia di vino venissero serviti 6 bicchieri. Considerando che di solito una bottiglia viene bevuta da due persone, tre bicchieri rappresentano il massimo per la singola bottiglia. Da qui l’idea che se non ne bevi neanche uno, vuol dire che già solo l’odore ti ha disgustato; se ne bevi solo uno, è chiaro che non ti è piaciuto; se ne bevi due, ti è piaciuto abbastanza, ‘ma…’. Se ne bevi tre, allora ti è proprio piaciuto. Una classificazione che può sembrare molto semplicistica, e probabilmente sembra che lo sia, ma ho sempre creduto che la cosa più importante nella comunicazione del vino fosse farsi capire davvero. Informare è principalmente divulgare, ovvero – come suggerisce la parola stessa – diffondere un concetto affinché questo sia comprensibile dal maggior numero di persone possibile.”

E con semplicità e chiarezza, di lei si dice che è un “critico tra più autorevoli e influenti del Belpaese, in grado di decidere le sorti di un’etichetta. 
Ma per cortesia, no! Non è affatto così, ci mancherebbe. Ho dedicato al vino la maggior parte della mia vita, ho studiato, mi sono impegnato e cerco di dire la mia nel modo più chiaro possibile. Ma non credo di essere mai stato così fondamentale, anzi, vorrei proprio prendere le distanze da questa affermazione.”

Innegabile però è il fatto che questo mondo è fin troppo pieno, direi saturo, di riviste, blog, siti che si ergono al ruolo di informatori.
“Questo si chiama marketing. Chiarisco subito che il marketing, a qualunque cosa si rivolga, non deve essere visto belzebù. È solo un sistema di comunicazione che serve il mercato, quindi assolve a un ruolo molto importante. E serve sia al vino più quotidiano che a quello più blasonato. Semmai la differenza è fatta dalla critica, che di solito si rivolge a un ristretto gruppo di appassionati, come se il mercato fosse ancora solo quello delle enoteche. Oggi il mercato del vino è un sistema molto complesso: sì, ci sono le enoteche, ma c’è anche il mercato on line, c’è la grande distribuzione, e all’interno di questa si delimitano altre fasce di mercato. È un sistema davvero molto articolato, ma che poggia ogni fondamenta sulla teoria di Joseph Schumpeter secondo la quale è l’offerta che determina la domanda.”

Occupandoci di comunicazione digitale, non possiamo che essere d’accordo con l’importanza del marketing. Però è anche vero – e questa è una considerazione assolutamente personale – che spesso, leggendo la stampa specializzata o anche i blog di maggior successo, ho la sensazione di essere davvero ignorante in materia, a volte di non aver proprio il senso del gusto, visto che a volte mi trovo a preferire un vino medio a una bottiglia da decine e decine di euro. Insomma, se compro il vino al supermercato mi sento un po’ una sfigata.
“Oggi vengono prodotti 50 milioni di ettolitri di vino l’anno, che muovono ricavi per circa 16 miliardi. Quindi, in media un litro di vino viene venduto al costo di 3 euro. Una ricerca di mercato in Australia – dati che possiamo usare anche per l’Italia – ci dice che l’85% del pubblico non è disposto a spendere più di 5 euro per una bottiglia di vino, e che quindi solo il 15% spende di più. Dire che l‘85% delle persone è sfigato mi sembra davvero assurdo, per niente reale, non crede? Però è vero che le guide e la stampa specializzata si occupano più volentieri solo della punta di questa piramide, la punta di quel 15%. Per essere ancora più chiaro, la guida italiana che contempla il maggior numero di aziende vinicole ne elenca circa tremila. In Italia ci sono trentamila aziende vitivinicole con una capacità produttiva di duecentomila ettolitri di vino. Non le sembra che quel tremila rappresenti solo il 10% del mercato?”

Quindi posso smetterla di sentirmi un consumatore medio.
“Ma certo! E poi che significa consumatore medio? ognuno beve quello che gli piace. Immaginiamo che lei abbia una macchina, che ha scelto per gusto e per uso. Farebbe a cambio con una Ferrari da corsa?”

Nonostante la bellezza (e la passione) direi di no: finirei per dover andare a piedi, ché non potrei usarla.
“Esatto! se usa la macchina come tutti i comuni mortali, cosa se ne fa di una Ferrari nel traffico cittadino? Sfatiamo subito questo concetto che i vini semplici sono vini brutti. Il vino brutto è semplicemente quello che non ci piace.. Semmai, in occasioni speciali, per esaltare una cucina particolare o per un evento importante, l’emozione di un bicchiere di vino di qualità superiore può mettere il giusto sigillo all’occasione. Unique suum, a ciascuno il suo, diceva Sciascia.”

Ma allora, secondo lei, da dove arriva questa falsa convinzione?
“Dalla comunicazione tipica di questo mondo. Dalla stampa specializzata, dalla critica. Un impasto di autoreferenzialità e di gergalità che alla fine risulta respingente. Solo gli appassionati – la punta di quel 15% di cui dicevo prima – legge la critica, la stampa specializzata. Ma scommetto che anche questa élite a volte fatica a comprendere cosa legge. L’autoreferenzialità fa tirar fuori dal cilindro 45 profumi diversi, pensi che ho letto cose come “profumi minerali”: ma da quando un minerale ha un profumo? di che stiamo parlando? Perché mai, se non è per una necessità egoistica di affermazione personale, bisogna far ricorso a una gergalità veramente incomprensibile? Chi vuol fare informazione deve partire dal concetto di divulgazione, ovvero farsi capire da tutti. Lei pensi che, nonostante il numero impressionante di informazioni circolanti sul web, ancora oggi la maggior parte delle persone non sa esattamente il significato dell’aggettivo tannico, ovvero quel riferimento al tannino che riduce la salivazione, al contrario dell’acidità che la stimola. E noi invece stiamo qui circondati dai profumi minerali… La comunicazione del vino è respingente. E lo vediamo nel nostro quotidiano: in quale trasmissione nazional popolare si parla di vino? Di certo no a La Prova del Cuoco. E se anche guardiamo Master Chef – che si rivolge a un pubblico più selezionato, visto che viene trasmessa da una piattaforma a pagamento -, ci troviamo al massimo davanti a un bicchiere di vino lasciato da qualche parte, senza menzione. 
Insomma, se davvero vogliamo metterci al servizio di questo mercato volendo fare una buona informazione, dobbiamo cominciare dall’essere più comprensibili.
Non dimentichiamo quello che disse Carducci:
Colui che, potendo dire una cosa in dieci parole, la dice in venti, io lo ritengo capace di cattive azioni.”

Quindi le migliori recensioni sono quelle rappresentate dalle schede tecniche?
“Certo. Possibilmente ampliate dal racconto geografico, così da scoprire l’anima del vino, fatta di terra, di vento, di sole. E ogni regione del nostro Paese infonde gusti diversi proprio a seconda della terra, del vento, della vicinanza con il mare… Bere un bicchiere di vino può anche essere un viaggio: dobbiamo essere noi divulgatori a fornirne le mappe. Con chiarezza e semplicità.”